mercoledì 5 dicembre 2012

L'osservatore di stelle

Sguardo muto e sorriso di cuore
testimoniano un'esistenza storta, inclinata,
da disgrazia o mancata fiducia in un Dio,
da debolezza d'animo o ferocia convinta
percolata dalla conoscenza d'una verita nascosta.

E poi Dante,
perché è il Divin Poeta,
perché chi conosce Dante non può essere solo
un ubriaco ...

E poi le stelle,
perché sopra al campo
piangono pioggia o brillano di sorrisi,
perché chi conosce le stelle sa che sono sole ...

La loro vicinanza, l'affollamento nel foglio del cielo
rimangono smentiti dall'adozione d'una diversa prospettiva
più materiale, più liquida.

Sguardo muto e sorriso di cuore
ed un marciare ritorto, inclinato all'indietro,
alla ricerca d'uno schienale che c'era, prima della porta,
a conferma che
ciò di cui parla non è più qui,
ciò per cui soffre non ha peso,
ciò con cui vive dev'essere ancora avuto.

Così lui osserva, le stelle.



giovedì 11 ottobre 2012

Il Delitto

Tradire un bambino è sempre un delitto,
poco rileva se lo si faccia "per il suo bene",
per dargli una direzione, possibilmente retta,
per apporre un bersaglio dietro la metafora di Gibran.

Tradire un bambino è sempre un delitto,
solo le onde han diritto di violare le mura del suo castello
di sabbia e cemento armato di sogni da vivere nelle storie
o da issare al vento della Vita per garrire o lasciarsi strappare.

Tradire un bambino è sempre un delitto,
anche se la vittima sei tu, fiducioso
estensore di verità accorte, di rivoluzioni pacate
e solo il bambino ha diritto a dirtelo, ridendoti dentro.

venerdì 21 settembre 2012

Deserto d'onde in tempesta

Sabbia marrone entra nel mare,
tremula astante al fragore percosso
di quella tela sconvolta, che s'impone
ai miei occhi entusiasti sul treno.

Il mare s'è ripreso la sua amante,
il cielo fedele alleato di cenere
l'ha liberata dal formicare degli uomini,
per restituirgliela così, bella e nuda.

Sabbia marrone entra nel mare
spettatrice commossa d'una tragedia d'amore
scioglie le sue lacrime nei clarini dei flutti,
urla il suo dolore nella grancassa del maroso.

Mi scivola una lacrima dalla penna, è nera,
s'è fatto tardi e la galleria richiama
il treno al riposo, nelle sue viscere,
e me al refrattario ordine muto della vita.

lunedì 10 settembre 2012

Geografie dai lacci pensosi

Errare con la presunzione di vagare
od incappare conscio di valicare.

Così si muove il pensiero.

Una rovinosa caduta nel giusto,
in un oceano - solco di segni,
evidenti come parole ben scelte,
muti come tiranni ragionevoli,
soli come volti assiepati in un vagone
abbracciato a binari odiati
a vallo inviolabile dalla loro destinazione.

Così si muove il pensiero.

Una commedia sussurrata nel chiasso
d'una tragedia apparente,
vera solo perché ripetitiva nel presentarsi,
aggressiva solo perché cinica nel definirti,
donna e viva come il sole
sfuggente al dì del desiderio e delle brama
imponente e violento alla notte nel giorno.

Così si muove il pensiero.

Crescendo nella cecità della ricerca d'una Liberta,
soffocante nel tendere la mano, ad appiglio nel tuo mare in tempesta.


martedì 4 settembre 2012

Macchina perfetta

Lame agli occhi
stropicciati da mani lisce
ed ansia o vertigine.

Chiodi alla testa
agitata da tempeste in mari di vetro
ed ansia od ambizione.

Viti allo stomaco
rispettato e riverito come Giove in cartapesta
ed ansia od ira.

Come
volo improvvisato d'esperto acrobata,
folle progetto di meticoloso ingegnere,
ira sceneggiata d'uno spontaneo condottiero d'aule.

Come
la morte della macchina perfetta

Il mare diviso d'uomo

Vicinanza relativa ma trascendente
acqua e uomo
dove onda può a ragion dirsi crine
dove tempesta può ben gloriarsi d'un pensiero.

Percezione da intuirsi non odorabile, commestibile:
avete mai tentato di dividere l'acqua del mare?
Certo escludendo doti di Mosè, solo con l'innocenza
d'un bambino cocciuto nel dar seguito alla sua intuizione.

Suppongo, guardata la superficie turbata del grande blu non abbiate notato - nemmeno per un attimo - un risultato vagamente apprezzabile, anzi la vostra intuizione sarà vacillata.
Se non vi foste mai condotti nei meandri di questo empirico dilemma, vi invito a farlo.

Tuttavia ad una successiva quanto immediata analisi sarete rimasti colpiti
dal volo di zampilli in stelle
filanti a ricomporsi all'accartocciata
pergamena del blu.

L'effetto del vostro gesto reclama un'esistenza tanto risibile quanto tangibile.

Per questo, con colpo di teatro a dir poco fuori luogo vi sprono a ricordare quanto voi siate il mare ...
E migliaia o milioni di battitori di mani, per quanto costanti e violenti, non potranno mai dividervi.

Le vite dei quadri

Appoggiati ai muri come dolci
stelle sulla cartapesta del cielo.

Aerei come coriandoli nevosi
scagliati da bimbi a giacere sul torvo asfalto.

Vicini tra loro nel supplizio collettivo e solitario,
della vista altrui, d'occhi gioiosi protesi a mani.

Racconti profumati d'acre tempera
librano odori di donne e di paesaggi.

Per giorni, mesi e catene d'anni.

Il giorno stabilito, poi,
il mistero d'una resurrezione
o lo stridulo momento della morte?

Cristalli in volo senza una motivazione
apparente o celata, convincente o veritiera.

Troppo simili agli uomini
per non essere pianti, restaurati e perdonati,
per non tornare affissi alla medesima parete.

mercoledì 29 agosto 2012

L’albero delle fotografie

Giardini pertugi di natura
stasi di febbrile creazione, nascosta,
vi pervade di prospettive minuziose
in cui trovo difficile immedesimazione.

Giardini pertugi di natura
i bambini vi degustano in corse e per colori,
giovani uomini liberi v’usano a talamo
a memorabilia di rifratte istantanee.

Sento sempre parlare di voi, nella mia penna,
ormai due anni vi fan trovare per un minuto
d’un graffito di penna, una lettura rimata in sonno vigile
ma per quanto vi torni, qui, non sono mai stato.

Così come due sposi che v’usano lo sgarbo
di collocarvi a sfondo per le loro caduche foto
dalle sembianze d’amore eterno, in truce divenire,
le mie mani d’occhi vi tramano in volute d’inchiostro.

Liberty ed il volo dei negativi

Natura – Volti parrebbero affini alla contemplazione
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.

Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
ignorandosi nella ricerca d’una propria, vita a strati
persuasi del loro slancio prevaricante
s’una terra adibita al moto da uno ieratico cemento.

Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
colti nel groviglio, da loro ignorato, dal volo d’un rondone
convinti della perduta bellezza del loro stile:
Liberty!
Buon nome certo
per un vecchio velivolo, mausoleo in ruggine.

Natura – Volti parrebbero affini alla contemplazione
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.

Ma che dovrebbe affascinarci maggiormente?

L’Arrivederci di foglie ingiallite al ramo
vestito d’autunno su cui le vedremo tornare diverse sempre uguali?
O il Commiato silente d’ogni volto in luminosa fotografia
che fugge dall’albero d’una società
vivido nella sua chioma ipotetica,
solido delle superficiali radici d’un passato dimenticato?

La grande scoperta

Ed alla fine si è perso
lungo le rotaie di nubi
a costeggiare un debole cielo, terso,
a voltare il suo indaco in cubi

Ed alla fine si è perso
affannato a seppellire una parte di vita
che non voleva così e lo modellava diverso
da come doveva andare, da come era partita.

Quella missiva, grande come un libro
musicato da note in lettere, righe in pentagrammi
ed alla fine si è perso senza apporre alcun timbro
lasciando solo il vento a girare le pagine bianche d’epigrammi.

Ed alla fine si è perso
ritrovando la parte più vera di sé
goccia d’olio in acqua tumultuoso d’oceano, terso,
come una domanda vera dalle mille risposte sbagliate:
perché?

come se una firma rendesse solo tue
le parole incollate prima di essa
e non contasse l’anima di che le legge in due
ad una sola ridente compassione perplessa.

La festa triste

Lo dominava come uno slancio,
un’idea tronfia di rapsodie,
scaduta in baccanale dal dorato cencio
a scena d’un musico o un gran direttore: vere parodie!

Lo dominava come uno slancio,
il fermo desiderio d’ondeggiare
con lei in un’aria di fumi, bolle ed un bacio,
a giustificazione portante di quel gioco di pose da interpretare.

Lo dominava come uno slancio
la convinzione che una dolce follia sia generosa di buoni consigli,
che possa servire un aiuto, un aggancio
alla propria vita per volteggiare senza rete ed inutili appigli.

Lo dominava come uno slancio,
tanto sorrideva d’una felicità liquida
da piovermi in colori nudi anche per un occhio volutamente guercio
e ricordarmi che toccare solo oro – per Altri inestimabile – era la vera sciagura, per Mida.

L’annegato

E’ una di quelle notti di luce,
in cui accuso, fottutamente il peso
del cielo sopra di me e della sua vita.

Vorrei solo una via Emilia,
una macchina con Francesco a mille
un solo appena calante, un ricordo

Accordi stonati in un scia di palco
rabbrecciato a fatica oltre la discoteca
in diamanti di bottiglie e pose pirotecniche.

Accuso fottutamente il peso del mondo
ma potrei scrivere per ore come Giacomo
e l’annegamento nelle mie carte sarà,
per Dio, una gran bella morte.

Scripta volant

Il bordo qui sopra non mi pare ben piegato,
certo ne avrei predisposto meglio la curvatura,
arricciandolo come le sopracciglia d’un lato
in un’espressione dolce tipica d’un seme, alla sepoltura.

D’altro canto è figliol prodigo d’improvvisazione,
questo volo in ali di carta, d’un candore imperfetto,
una pagina bianca schiava di mille bozze sotto revisione
una pagina bianca libera nel suo volo verso il cestino, concavo letto.

A voler volere le metafore non servono, come d’altronde scrivere,
la parole volano al meglio se ben piegate su foglie – voglie di carta.

A creare una visione

Creare una visione
Collage di pensiero e suggestione
ove l’apparente incoerenza bacia
l’ardore del colore, prima che il sole taccia.

Correva l’autostrada percorsa più volte da parole
di poeti e musicisti che dal formicare dei veicoli,
son uno di questi ma vivo e mi nutro d’oro in pillole
di questo sole che rende laghi questi vicoli,
questo sole che schiaffeggia l’asfalto a renderlo mare
incandescente paradiso leggiadro tra partire ed andare.

Il sole, così a creare una visione, un trapasso,
affannati a navigare un acqua d’asfalto
bramosamente intenti ad andar oltre in sorpasso,
il mare del vicino non è il tuo amore, vola in alto.

La ricetta

Diviene sostanzialmente un vortice, geometrico.
Usualmente una strada che pieghi, sino a renderla retta.
La percorri con un frastuono monotono, al fine muto
La guardi nel tentativo d’odorare almeno un silenzio.

Arrivi ad un punto, questo punto, in cui è normale.
Guardi la ruota e giri con lei
Non ha senso il dolore che mille geni han dimostrato,
si confuta il teorema, ignorandone l’ipotesi …

“Ho molto tempo da spendere, devo vivere”

Ben spesi quei danari!

Tintinnare di urla nelle orecchie
in una locanda dall’umido vestito
di lampade sfuocate vecchie
come le parole di quel gallo impettito
che pontifica da dietro il bancone:
ecco l’antica verità del Poetone.

“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene,
mi son comprato la musica!”
Tuona tronfio della sua gioia di pene,
di perversione ludica.

Quella locanda puzza appena di più
del mondo d’occhi che ci ondeggia, fuori
di sé, caldo dell’abbraccio che fu
dell’ultima bionda, gelata dal frigo dei cuori.

Penso:
“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene”
talmente bene che me li son dimenticati,
non ho idea di quanti ne piovano sulle schiene
di chi li conta o li usa come me, però distaccati.

Che fascinoso quel loro progetto: una foresta di futuro
nel vaso d’una passione, cucita dietro una divisa d’amenità
d’una generosità spassionata ad erigere un muro
per unire ed arrampicarvici sino al sole della superiorità.

La subdola prospettiva delle Verità

Pensare,
bisogno fisico dal delicato adagio
di collezionista sbadato, assorto
una fame di carta dal fuoco grigio
ed una sete d’aria, di porto.

Chiamare,
orgoglio dominante di condottiero
guardiano d’un cane miserabile
splendore dal tetro pensiero
d’un bicchiere credibile,
certamente mezzo pieno,
patrono d’una sete - incendio, di fieno.

Pensare ,
al dolore infinito d’un inutile attimo
speso a pagare i propri errori,
la scala mobile continua dal primo
secondo a soffiarti via i tremori
d’un tempo vivo solo in foto
d’una calma godibile solo nel moto.

L’architrave della parola

Architettare una parola,
dividerla dalle lettere
e disegnarne un significato

Architettare una parola
colmarla d’immagini per dividere
nel dare allo slancio un passato

Una parola di fuori di un’opinione
come un mattone contro una vetrina imbandita
di diamanti di luce costretta in prigione
di sguardi liberi in vorace dipartita.

Una parola dentro un discorso,
bomba intelligente contro una verità
ingiusta come il dettame d’un dio diverso
vera come il sogno d’una nuova realtà.

Come la donna di Chumubamba

“Odio il sibilo del vento,
porta lontano le nubi di pioggia
e per noi qui sono la vita”.

Odio il sibilo del vento
solleva un balletto di fiori per la loggia,
e la platea informe odora d’alba svanita.

Odio il sibilo del vento
mi riporta la polvere di ieri
la luce saltellante dei ceri
un “devo” urlato s’un arpeggiato “tento”.

Amo la carezza del vento infinito
la fiducia tipica dell’impaurito
ed il suo appendersi sanguinoso
al rotolare d’un momento gioioso.

L’applauso delle onde

Dolci come chiome tornano illibate
a stroncarsi, a finir la vita
contro le rive le onde fatate
dall’orrenda routine di tempi, contrita.

Risponde di lontano il leggio dei monti
disegnato di I appuntite dal velluto
di prati recisi dal vento sotto i ponti
d’alberi nicchie di tempo perduto.

Scappato come un ladro vivo
nell’ansia dell’infinito parco della prigione,
necessito d’ignorarli stando in mezzo, schivo
a loro ed al loro sano uccidersi di squilli e missive in missione.

Nel silenzio non trovo risposte
solo altri rumori più delicati
a distrarmi dal suono delle candele imposte
sul tavolo delle mie storie di dolci dannati.

Merito il rimprovero d’un Dio, d'altronde
fisso lo sguardo sull’applauso delle onde

Come andare contromano

Lastricata di scelte disegnate in ciottoli
o cinta di pulsioni libere d’un plaid di cemento,
o abbracciata dal debordare d’anse qual boccoli,
o ferita dai rostri d’erba feroce dal naturale tormento.

Già molti defunti in voce dalle parole immortali
l’hanno voluta mettere in dramma
così com’è facile percorrerla, udendola con occhi normali:
la vita è una strada e il calcarla merita un epigramma.

L’hanno sempre detto, fino a scriverlo: lei ha un senso,
di marcia, di fine, d’arrivo, di partenza o scopo.
L’hanno sempre detto, alcuni, uno va ed uno viene … penso
che giunti fin qui servissero poi quelle a senso unico, per dopo …

… dopo, darci la possibilità d’odiarle o amarle, le vite,
di degradare grigi, di stemperare colori in grafite
di correre lungi, di camminare corti per dire: lontano,
per l’ebbrezza meccanica d’andare, contromano.

Mi piaccio i paradossi, le parole accostate
in un odio reciproco d’immagini rifratte,
in un amore perverso dall’odore di membra dilaniate.
Sposate così ti conducono ai perché, boscose dee di fratte.

Perché minacci d’imboccare l’autostrada in senso inverso?
Brami nutrirla della rinuncia al tuo sangue terso,
la struttura ti ha talmente oppresso e, comunque vada,
opponi un petto di carta ai Tutti sfidando la strada.

Perché risali quel deserto viottolo imbandito
di segnali ed orpelli ignorati dai Molti?
Devi correre a vivere, ad ubriacarti di tempo gradito,
girare dalla parte degli alberi è un lusso per stolti.

Perché è certo, la vita è una strada non un fiume.
Gli Altri sono veicoli, non gocce d’acqua in vetro
e le code, quando si sciolgono non svelano la causa di bitume
di quell’attesa di rosa, di quel tramonto d’istanti, tetro.

E le code quando si formano generano ordinata adesione,
non laghi in tavolozze per la mano del sole,
non maree dall’incerto pettinarsi d’onda d’Ermione,
solo linee, rette o torte, lungo un percorso: la via di sale.

martedì 15 maggio 2012

La razione K

Alle armi, alle armi” pacifici soldati
c'è da combattere e da trionfare
imbalsamati nel cotone tinto di divise - abiti rubati
ad un'eleganza di tuta oleata per lavorare.

Confezionate con premura le vostre aspirazioni
dovremo stiparle in magazzini torbidi di vetrate
incastonati come misere tessere di gemme e dobloni
in attività di fugace attenzione per voi che osservate.

Alle armi, alle armi” pacifici soldati
siate operosi ed attenti a tutto ciò che non importa
il rancio giungerà, buono ed abbondante, siete assicurati
ad un appiglio posticcio, una fune di seta, di scorta.

Giungerà il rancio, buono ed abbondante, non si scappa
dalla gozzoviglia, dentellato di lavoro, della razione k:

un sonno lesto di sogni temporizzati
di desideri lontani di mondi – donne sfiorate
rotto dal fastidioso operare di vicini narcotizzati:
per dio, son le 7 di domenica mattina, che mobili spostate?”

una foto d’arte per una rivista patinata
che faccia divenire il fratello, prossimo a carico,
con la sua macchina, un’altra tessera appostata
nella rombante perfezione di mosaico del traffico

Dimenticate in poche ore incollate
quel peso d’Atlante per cui vi lamentate
risolvete alacri i problemi degli Altri
che a quelli di Tutti ci pensano loro, gli Scaltri.

giovedì 3 maggio 2012

I disegnatori dell'aria

Comunicare è un dire in coro
e s'ascolta volentieri se si scorgono i particolari,
gli esseri son piacenti è opportuno discutere con loro,
e se rovesciano parole accattivanti divengono compari.

Ma quelle parole comunicano?
Se si cosa? Il trasporto del declamante,
il fervore dell'auditore imbornito dal decano?
O il miele d'un dolore, come fosse un calmante?
Certo una pena non di tua proprietà
un interesse irato di mille altri te
che trovi chiassosi otri d'inopportunità
da cui ti distacchi parlando lettere con inferiate.

Comunicare è un dire in coro
noi abbiamo parole ma le sciupiamo
facciamo rilevare dei gesti, degli atti che non odoro
incardiniamo il viso in sorrisi, che spesso non vogliamo.

Ci soffermassimo sui disegnatori dell'aria,
privati delle parole con un furto
donano gesti di gusto e tinta varia
in delicato ondeggiare di mani dalla voce che urto
costernato per la piena di quel dire
muto discorso dall'agitato finire.

Vorrei disegnare la pagina come loro fan con l'aria
pulire lo stilo della penna in una mente spuria
ed allora ch'ogni balbettio d'inchiostro
sia un volo di rondini
che ogni uomo normale vestito da mostro
sia marionetta ai vostri ordini,
che ogni rima sia solo tintinnio
a suggello di un'idea o dell'oblio,
che ogni gabbia veduta sia libertaria
grazie al vostro genio sfortunato: disegnatori dell'aria.

Il mondo regala margherite

Chi assume malamente, credendosi Freud, fa
la nanna come se fosse un sogno
scivola su monti di vita come muffa,
disegna la sabbia a righe per bisogno.

Chi assume malamente, credendosi Freud, fa,
giudica: chi suona la Sua musica
come un burattino slacciato, una cosa buffa,
chi pensa un'altra via come una rivoluzione tipica.

Sogna quando sei sveglio di notte
blatera come fossi un Cicerone
odora con incanto mille rose cotte,
il mondo regala margherite, furbone!

A piedi nudi in San Petronio

Musica gitana parla in volo
di gonne vivaci come le anime
che vi danzano dentro in un crogiuolo
di lettere cucite come denti d'un pettine.

Musica gitana respira nella sua cella
con gli occhi, tutti azzurri, d'un sogno
incolore come il fiato mozzato da un'emozione bella
di cenere castagno e di sale borgogno.

Mi sorprendo di quanto sia facile
alzar la testa dai tuoni d'uno schermo,
dal rosseggiare della nera china sul pontile
d'uno stagno immobilismo supremo.

Mi sorprendo di quanto sia sia razionale
il saltare liberi in questo manicomio
oppresso dal solo soffito d'un cielo normale
a piedi nudi in San Petronio.

giovedì 26 aprile 2012

La calma del condannato

Attraversata una notte blu dal sordo tichettio
di stelle spente da mille lampioni
ballonzola leggero nella meccanica d'oblio
d'un sonno lento di diapositive come campioni,
puzzano di germogli di vita verde
quando canticchiano vespri e suoni metallici,
l'arrivo alla prigione è una sosta in cui si perde
in un vagare d'umore incoronato da portici.

Ha costruito una ridente cittadina murata
di camice e cravatte che nascono come fiori,
egli s'innesta in quella delirante piana mappata
come Atlantide, nota al modo e nascosta agli albori.

Tutto funziona in un perfetto fallimento
suggestivo per implicazioni, ovvio nelle soluzioni,
la penna lo disegna via senza tormento
con calma di vento, senza algide costrizioni.

Sbagliare per lui è un lusso stupendo
se ragionato al limite del progetto
seguendo il rigo con dovizia, intendo
sporcare il bordo inferiore d'un fiore corretto.
Tondo nelle anse d'un otto,
felice del genio idiota che sputa il depresso
parla contento al suo solo intelletto
e vilipende il giusto pel suo immaginare connesso.

Tuttavia, calma non c'è fretta, la condanna è vicina
dice alzando ed abbassando la testa unta di china
se scritto e comunicato, tutto è più chiaro
ma interessa davvero la sincerità d'un baro?

Esperimento di dinamica psichica

Chiudete gli occhi con la dovuta attenzione
non lasciate che sfugga alcuna goccia
di luce attraverso lo specchio di rifrazione
d'un cristallino vostro irto di pece - roccia.

Assaporate il vento condito di rumori
non ascoltate altre parole lontane, comprensibili,
trattenete in un cerchio buio i tremori
della vostra immaginazione, scriveteli leggibili.

Tracciate ora un punto fermo di luce pulsante
obbligatelo con pudore a vagare s'una rigida circonferenza
sempre più veloce, d'un ritmo cadenzato, incessante,
apprezzatene l'autonomia del moto, incurante.

Quel punto potrebbe, a ragione di menzogne ben scritte,
rassomigliare al mondo, a lei, persino a voi
tuttavia se ben m'ascoltaste gaudenti - afflitte,
non è nulla se non il conosciuto dal prima al poi.

Riuscite forse ad impugnare quella parola di lucciola?
Riuscite ad invertirne il moto, a sbalzarla in vortici
a cullarla s'una rigida retta infinita che pullula
d'altre mille ostinazioni come ricami di forbici?

Ebbene se trionfaste in tal acerrima sfida
vincereste con candore la mia sconfitta,
potrei allora capire Cervantes e delle stelle la corrida
del suo stranito Chisciotte, la mente trafitta.

Ma se così fosse perché allora mi biascicate
con fervore e trasporto da calcoli esasperati
che nulla è destinato a mutare nelle andate
e nei ritorni vediamo sempre - solo noi stessi disegnati?

venerdì 13 aprile 2012

L'uomo che nutre le formiche

Come ogni mattina il sole si sveglia dietro al cemento,
sbadiglia svogliato quasi il suo discorso non interessasse.
Per la formica, operosa sorella balbettante, inizia il tormento
di briciole - montagne accovacciate sulla schiena qual dolci melasse.

Come ogni mattina la formica sorride d'una fatica delicata,
dondola le zampe prestanti in un fremito dal suono disinteressato,
compie attenta il suo rituale in cienciosa stola damascata
ogni giorno, pesante come dieci miei anni, borbotta presente cantando passato.

Io, enorme insignificante uomo nel mio assoluto contemplarla
mi sento Dio nel tracotante dono d'una briciola, per nutrirla.
Dio, infinito signore che mi rimira dall'alto rotolar come biglia
dall'incantato incespicare, abbozzo di sognante rotolare, mi dona poesia: sua figlia.

Il cannibale e la rosa masticata

La maggior forza d'una verità raccontata
è una butade colta - contraddizione veritiera,
chiara come un dubbio odor di rosa masticata
vivace come una sola suggestione foriera.

Il cinema odora di storia ed abiti all'antica,
il proiettore illumina una storia oscura
svelata per trent'anni da una stridula voce amica,
ma il popolo degli insonni narcolettici ancora ha l'anima pura.

Piazza Fontana è una mattanza riarsa
un giuoco di dadi per potenti.
Piazza Fontana è scoperta ricomparsa,
memento per viventi neo - vedenti.

Il signore arcigno nel suo pernsiero,
stagno nella fede d'assente alternativa
resta fermo accarezzando le ciocche del suo cimiero
la sua cinica argomentazione suona ancora così positiva?

Il gusto forte ed amaro d'una verità
raccontata da una luce animata,
condimento dolciastro a lenire ogni asperità
d'un risveglio odoroso di rosa masticata.

giovedì 5 aprile 2012

Il collage di frantumi della Cara Madre

L'immagine d'una sfera di vetro
algida di vapori indaco e macchie di verde
rende conto di illusioni, ne osservo il retro,
vederla è collocarla nel blu, dove si perde.

"Terra, Terra!" urla sentinella galattica
al giungere di un vascello di Pensieri,
ce l'avevano disegnata diversa, più magica,
gli indegeni più ospitali. forse l'erano di più, ieri.

I Pensieri attraccano alle porte adunche
della sfera, decisi a conoscerli ordunque,
questi uomini sembrano divisi
per loro non rileva nulla se non questi visi.

I visi, così colorati e mutevoli
distratti - attenti, muti - ridenti, chiassosi - tristi
poco badano ai convenevoli
i Pensieri scrutano i comportamenti, costi quel che costi.

Uno dei maghi disse ai Pensieri:
come potremo unirci senza annichilirci?
La domanda vale, rispondo volentieri,
ma serve una storia per capirci.

Quello che chiamate il Grande Botto
è davvero il gesto di un Dio, distratto,
egli aveva un globo perfetto, suo prodotto,
lo maneggiava con vezzo, tanto n'era attratto.

Al meriggiare di quei tempi l'universo
era accomodato in custodia nel globo delle pioggie,
imperizia volle che scivolasse dalle mani per verso
cadendo, tintinnando nel reale in scintillio di scheggie.

Non temiate la vostra apparente divisione
siete scheggie sorelle della medesima visione,
acredini e bisticci son storture ortogonali,
la mancanza di pezzi, solo dubbi normali.

Trovate il legame nel perso frantumato nell'aria
la cui magia vive nella vostra anima che varia.

lunedì 2 aprile 2012

Lieto sono nell'incerto domani ...

Vibra l'aria attorno in ghigno immobile
vestita di rivoluzioni in bottiglia,
friggono pensieri sabbiosi sul legno del pontile
traccio mura di creta, lieve sciarpa di ciniglia.

"I tempi van cambiando" strilla la pagina,
strano a dirsi per il constante tagliar delle lancette
il tondo adunco piano dell'ora vespertina
di notti d'anime e giorni di frette.

Parole dicono cambiamenti di orizzonti immutanti
confezionati da piogge in marosi
mi pare l'ora di decisioni importanti
per noi pariah - braccianti famosi.

Tempi da riscrivere a sferzate di gomma
annegamenti di prassi leniti da sbronze di sogni,
è facile la soluzione se c'è un programma
per tutti la patria, a nessuno i bisogni.

Canticchia epitaffi dolce lettore
vivi ridendo l'attesa del giorno che muore.

La colomba d'origami

Scorre placida tra eterne mura di carta:
la corrente, alternanza di flutti e rintocchi
accoglie l'ombra di Rialto prima che parta,
piange nel riso della Giudecca, Murano d'occhi.

Piega le sue volute sul mare:
San Marco, rombante di cinguettii,
leggiadro come papiro dall'ondoso vagare
chiuso a scrigno su veneziani borbottii.

Adagia i suoi edifici come vele
di sue piazze qual ponti, suo vento di miele:
Venezia bella di cristallo d'altra era
acquarello disciolto su tela di cera.

Apri le ali, libera da dettami
nel tuo volo sperato di colomba d'origami.

giovedì 29 marzo 2012

La stanza dei giochi

Grovigliare sottile di anime e suoni,
gorgogliare di voci roche,
rotte dalla carezza d'un drink di tuoni,
distese da lame di donne innamorate, poche.

Folle architettura di crome a volute ombrose
sulla dorata patina d'un pentagramma
ferito dalla scricchiolare d'uno stilo di mimose
di quell'odore da far sobbalzare il diaframma.

I grandi temi, il dolce infinito d'un miseabile reale
sussurrati nel rombo di archi tesi e sguardi d'eroi,
cantautore per elezione, vicino perché normale
elegia di volgarità per un domani ridotto ad un poi.

Musica dea divenuta maledetta droga,
baccanale divenuta opera, trattato in urlo
per capirti devo sbagliare, voglio una proroga
mi dimentico del tempo senza sedurlo.

Musica delicata Venere in rovina
ideale di carnale bellezza
segreta gemma ferita da sguardi in vetrina
ti stacchi ma cadi addosso come brezza.

Non ti lasceremo esser fuga dagli animi dei sogni fiochi
resterai per sempre nostra, nuda e santa, stanza dei giochi.

giovedì 22 marzo 2012

Sono un ladro, faccio il cantante ...

Scivolo, quasi pattino, s'un disco di luci
guardo dal sole blu che irradia la sala
sola textura di teste che applaudono,
vivo una vita in tre minuti.

Addento, quasi mangio, il pasto di questi passati
alcuni dolci, altri amari, certi semplicemente ben cotti
d'altronde mi portano dei gran bei costumi, loro,
decido la sceneggiatura e i personaggi, io.

Dispongo, quasi arredo, la musica che li soffia
in alto come semi, li spegne, qual festanti candele,
mi cantano le mie parole, loro,
distendo loro un tappeto su cui volare, io.

Li guardo dal sole blu che irradia la stanza,
confenziono i disegni dei loro visi con fiocchi e nastri,
li dono volentieri i loro sorrisi assordanti ...
Sono un ladro, faccio il cantante ...

giovedì 15 marzo 2012

Il paradosso dei clientes

Tutti concordi nel mondo dei seri, degli impegnati,
dev'essere generoso - egoista nonché cinico - sognatore
l'umano atleta immobile, rigido arco deposto di dati
affastellati in ordine, d'un estro fisso, del lento prova orrore.

Tutti concordi non v'è dubbio alcuno
avanti a te fiducia: ostacolo nessuno!
Procedi diritto, osservando solo il panneggio della strada,
la figura delle margherite, non il tatto della corolla resa brada.

Tutti concordi, tu arrivi dove vogliano che tu voglia
apprezzano il far squadra se tu d'essa ti distingui, varchi una soglia,
vaghi in gruppo sorridendo pecora abbigliata a lupo, frutto a foglia,
stretto nel dolce tuo camice, diverso così uguale, alla nostra spoglia.

L'ordine è chiaro la tua vita è un gioiello solo in una corona,
corri sospettoso il senso del fluir del tempo di limita, ti mente,
altri cercano scale, tu sei un bel gradino, nessuno ti perdona,
affrettati all'egoismo della mansione a donarti spassionatamente
al tuo cliente.

giovedì 8 marzo 2012

La vita divisa in giorni bui e notti lucenti

Conviene pensarla difficile,
opportunamente pazza - irrazionale?
Conviene aizzare la belva docile,
sonoramente silente - sobriamente emozionale?

Trovi opportuno stagliarti rigido in un mondo scosso,
increspato flutto d'una pozza in tempesta,
oceano riarso costeggiato da un pingue fosso
di lapislazzuli - pensieri censiosi agghindati a festa?

Conviene depositare unguenti dolciastri 
s'una distesa silente d'insipido sale,
amare senza un domani, trovando opportuni gl'impiastri
mercificatori attenti al bene ed inclini al male?

Trovi opportuno vegliare di notte alla luce d'un libello
scandaglio dovizioso della realtà del giorno
mentre sei atteso ad esistere in seta e coltello
lungo una realtà che scolpisce l'andata ed odia il ritorno?

Assolutamente,
troverai negli schermi visivi un contatto,
godrai delle bestiole ingabbiate l'abbraccio,
troverai nel tuo ondeggiare la retta via
nella tua pietanza un'agrodolce fantasia,
scopirai nella partenza del tuo ignorare
il tonante ritorno del loro conoscere.

giovedì 1 marzo 2012

I requisiti della grande danza

Per ballare, forse,
non servono le luci
non servono abiti eleganti
trionfo di giovani stoffe luccicanti
tripudio di solidi tacchi roteanti.

Per ballare, forse,
non serve nemmeno la musica
nel rombo delle casse
nel tuono del tamburo
dietro quell'agghindato bel muro,
alcova di certezza - bellezza di donna.

Per ballare, forse,
basti solo tu
te sola come giorni nelle notti
tuo rame s'un finto oro
tuo grigio s'uno stanco platino
tuo viso di sopra ogni vacuo sorriso
la tua mente, qui,
dove nulla vale se non si sente.

martedì 28 febbraio 2012

Stendhal al caffè delle Giubbe Rosse

Rossi indumenti
a delicato contorno d'un borbottio
di pietre d'ocra assolato
affiggono drappi di disegni rupestri.

Entrato nel caffé
m'assale una sindrome composta,
un pacifico assedio d'arte
dal profumo di poesie
dall'odore di vapore e carbone.

Facce disegnate da mustacchi torniti
smicciano me, astante turbato,
il loro slancio frenato dal tempo,
la loro esaltazione di pagana ortodossia
m'incanta come in un sogno
in prossimità del risveglio.

Esco per rientrare in questo museo aperto,
abbagliante nelle fioche luci del tramonto

Torno a respirare ispirazione
ad annegare laghi dubbiosi nelle colline
a trovar certezze in insoluti quesiti.

[veduta di Firenze in uscita dal caffé delle Giubbe Rosse]

Scrivo per amor incapace del disegno

Scrivo perchè
ne ho bisogno,
credo d'aver qualcosa da dire
disordinatamente
a bocconi,
a morsi,
ad occhiate.

Scrivo perchè
mi piace riordinare un foglio,
agghindarlo con figure retoriche
abbellirlo di punteggiatura,
privarlo di significando scrivendo parole,
privarlo d'utilità campendolo di blu acuminato.

Scrivo
con attenzione,
con dettaglio al particolare,
perché voglio che quel foglio
sia ben in ordine
sia perfettamente coerente:
ogni pagina abbia il suo senso
ogni parola il proprio appiglio
ogni figura il proprio pittore
ogni canzone il suo Mozart
prima che l'accartocci
e lo getti nel cestino.

Scrivo
perché sono convinto,
o perché, in realtà è vero,
che non vada letta.

No, non scrivo perché mi leggiate,
in realtà, scrivo perché mi piace disegnare

Volere, potere, essere ...

Voglio pensare di esserci nato così,
voglio credere di non esser cambiato,
per essere così.
Voglio credere che io sia perché io sono
Voglio a tutti chieder perdono.

Desidero ordinare i miei pensieri in un caos
non li voglio sottoporre nel rigido schema in cui nascono
li voglio sparpagliare,
Voglio dare caotico ordine
alla mia folle mente ordinata.

Desidero dormire, pieno di adrenalina
e desidero vivere sognando,
trascinandomi sul rombo di questa città
come su un cuscino
in una silente notte di quiete apparente.

Voglio avere ore come sale
voglio avere minuti come zucchero
ma, voglio essere una succosa pietanza
e che il mio destino sia il mio chef

No, non crediate che io sia un pavido
che rifugga la Responsabilità

No, non pensiate che io voglia scappare
da qualcosa che voglio definire: Responsabilità
la voglio con me
ma la voglio nella mia testa,
non nel mio stomaco.

Lo voglio, perchè sono arrivato fin qui
interrogandomi su cosa angustiasse la mia testa.
No, non è un assalto
non fu un assalto,
non è un assalto
lo sarà ...

Io voglio
Io posso
ma
non sarò.

martedì 21 febbraio 2012

Come virgola in un sospiro

Qual taglio - dolorosa ferita - dal dolce pianto
sgorga sangue terso, sapor di spezie,
riga la delicata palladiana di vincenti il vanto
abbevera la povera maestà d'un sentimento, non turbata d'inezie.

Qual gola - crepaccio incantato - segna il distacco
d'una parola dalla sua bocca, generosa nutrice
scaglia un dardo di lettere in alto, oltre il bivacco
di pensieri pellegrini madidi d'una compassione per sè felice.

Qual fonte - aggrovigliato tessuto - ad unir pareti scoscese
d'esseri disposti in invetriata assonante opacità
ognuno irrorato dalle proprie nubi di tramonto accese,
mura impenetrabili d'agile aggiramento per sola opportunità.

Qual sguardo di vibranti pupille a contendere al tuo nocciola,
il primato d'una bellezza di scultorea invisibile cromia
ignorata dal rutinario ondeggiare del crine a mo' spola
mentre l'aria si fa scatola per grilli di distratta autonomia.

Naufrago d'oceani in bicchieri smiccio l'orizzonte e viro,
grani di clessidra dividon l'ampolla ... qual virgola in un sospiro.

lunedì 13 febbraio 2012

Il concerto del carillon

Rami dentati, accarezzati,
scivolate da soli, di gelso ammantati,
scolpite di tintinnii quel muro
coll'impietoso rombo d'un tamburo.

Rami dentati, accarezzati,
canzone di notte di cembali illibati
cantate in falsetto, ricolmo di vero,
la vita quand'è buona, ti lascia intero.

Rami dentanti, accarezzati,
soli, polverosi, s'una mensola di legni gemmati,
eremiti in concerto di carillon e ballerine,
tutti tristi-attenti al compleanno-funerale delle candeline.

Rami dentati, accarezzati,
non m'occorrono maghi o vati,
correte al mio servizio stanotte,
col dubbio che questa vita abbia fame d'esperienze ghiotte.

venerdì 10 febbraio 2012

La dolce fretta

La fretta d'innamorarsi
imperturabata lancetta,
vortice folle di libellula nel posarsi
di dolci gocce d'asfalto calpestate dalla bicicletta.

La pioggia d'amaro cioccolato
veste i cuori di neve,
è quel tuo strano animo affamato
a rincorrere i suoi demoni oltre la pieve.

L'abbaino da cui guardi il mondo
è l'uscita di sicurezza,
è la vetta germogliata dal fondo
della tua primavera scarmigliata nella brezza.

I fiori di pesco,
appassiti nell'affanno fresco
della realtà - fotografia scattante,
rivivon d'arte nel decoupage bruciante
del tuo ritratto - diamante di ciniglia
intagliato s'un fondo di bottiglia.

La fretta d'innamorarsi
applauso silente,
capolavoro imminente,
beata gioia d'aversi.

giovedì 9 febbraio 2012

Poesia Mancina

Scritti grandi e torniti
d'errori in drappi di foglio infiniti,
d'un equilibrio incerto e corrotto
attendono dalla ragione un rimbrotto.


Sfilate le luci delle citta'
l'occhio mancino gracida,
un treno ch'ondeggia nel vespero d'aldila',
mi conduce fraterno nella notte acida.


Mano turchina, sorella ignorata,
distorci la china, con tua scrittura seghettata;
Scopro lodandomi,
il vituperio del mio animo,
Pulisco infangandomi,
il terso oblio dell' occhio minimo.


E' un oceano che dilaga in un bicchiere,
un attimo ch'ammorba ere.


E' una precisa convinzione distorta,
un dubbio che soffia nella fessura della porta.


Sono una poesia mancina,
un dolore destrorso s'avvicina,


Capire che il mio sguardo ha la forma del miele,
Capire che il vostro sguardo odora di sale,

Vederla abbaiare ad un cane in un cortile,
Negando alle mille pecore la calma dell'ovile;


La poesia mancina stritola il cuore
ne versa il dolce succo sul sole che muore.


La poesia mancina benedice la notte,
ne beve il nettare dopo averla presa a botte.


La poesia mancina parla de "i Voi",
ben conscia d'esser malata de "i Suoi".

lunedì 6 febbraio 2012

Rubarle l'anima ... l'anima ...

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
sottrarre alla Terra il suo essere
Salomé, figlia di vento,
in danza attorno alla maestà del Sole;
pretendere di trovare una sola motivazione
a centinaia d'azioni commendevoli e turpi,
a migliaia di sibili di fuoco nelle notti
a milioni di denti digrignati
per stomaci laschi d'orrida vacuità.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
accusarla di odiare davvero certi suoi figli
riarsi dal caldo d'una savana,
raggellati dal freddo d'una steppa,
soffocati dal legno marmoreo d'una bidonville,
perché in quel suo vorticoso danzare
non si sofferma
ad accarezzarli con brezze di menta,
a riscaldarli con aurore di passione,
a librarli in oceani di diamanti piovuti.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
negarle la femminilità dell'eco,

Rimbombo d'urla rese vivide
dalla melodia di valli e roccie;

Dolce convenzione che l'ultime parole
proferite, sussurrate, gentilmente consegnate
s'incastonino in una corona di polvere di stelle
e li rimangano mesciandosi all'odore d'amante,
ripetitiva stupefacente nenia berbera.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
rifiutarle un invito a danzare
con lei, nella tua primavera.

giovedì 2 febbraio 2012

Il candido abito piumato della perfida sposa

Lieve, delicato, efflato tonfo
di cotone intarsiato
in geometrie di rigida rugiada
vesti di bianco sorriso
la vecchia, farneticante, vivida cornice
di Milano, risvegliata sognatrice di mondi.

Simpatica, sorridente, buffa maschera
di ceramica polverosa, scivolata dal cielo,
ammanti il grugnire del tram,
soffocandolo in arioso abbraccio,
librandolo come un garrire di rondone;
acquieti le voci stridule dei corpi,
ingessati in delicate vesti,
musicandole qual voci d'infanti.

Come te i pensieri ...
Come te la poesia ...

Ella,
posatasi con l'avvedutezza d'un fringuello affamato
sulle diamantee guglie della cattedrale del reale,
le tornisce ... con la fragorosa forza d'un velo,
le dipinge ... inspessendo i contorni delle cose
ad esaltarne i contenuti,
le espone ... restituendo alle persone
la meraviglia di guardarsi attorno,
il piacere di contemplarsi,
con lo stesso stupore con cui s'alzano gli occhi
piume al cielo.

martedì 31 gennaio 2012

Il fiume segreto d'ognuno

Dove si dirige,
dove trova rifugio,
riparo, alcova di profumi,
quest'acqua pianta dal cielo
aggrovigliata ad un vento
dalla digrignata dentatura
di palazzi ed ampi viottoli?

Qual forma incide
sulla sfuggente superficie di sorella terra,
l'affannato arrampicarsi d'anse
del fiume lungo la pianura?

Chiaro,
di meraviglie che s'affacciano bramose
a scorgere loro iridi lucenti
mesciarsi nel fragoroso sposalizio
dei cristallini raggi, sottratti al sole,
custoditi in quell'indaco scrigno ...
Sì benevolo nel concedersi
alla gentile mano del ramingo,
al graffio del pennello del pittore
lenito solo dallo zeffiro della tempera.

Libero,
di seguire il suo tracciato
nel rombo torrentizio del fortunale,
nella placida immobilità della canicola;
di offrire il suo lindo pentagramma
alle foglie piovute come note,
ai ponti tesi come cesure,
alle chiuse voraci come applausi
all'estatico compimento
d'uno scintillante movimento.

Sacro,
nella beata sete d'infinito rullante
sepolta sotto l'indimostrata convinzione
ch'essa non si possa lenire,
che non ci si possa dissetare
di sola acqua santa.

Così accarezza,
così scivola,
da dentro ...

Così scorre,
così vive
dentro il Carso del nostro animo
il fiume segreto d'ognuno,
portando con sè
il segreto della primavera.

mercoledì 25 gennaio 2012

Ripido cuore e il volo dell'anima del cielo

Ripido cuore
scosceso pianoro cauto,
vorrebbe salirti
sognerebbe di conquistarti ...
Crepacci d'esperienze
rigati in gole
dal gocciolar del tempo
ti solcano mentre suoni
canti di libertà ferita.

Ripido cuore
folle aruspice ineluttabile
vorrebbe leggerti
sognerebbe d'odorarti.
Tormenti in flutti
conflittuali abbracci di spuma e rivoli
t'allattano di gioia mentre ridi
con vituperati occhi
dall'ingenua astuzia di bambino.

Ripido cuore lasciala
giungere come fosse la tua stella,
più amata - più cara
sagace pazza in fuga di luce pel cielo,
fedele amante avvinta a questa terra
dal drappo d'argento del tuo sguardo,
triste giullare addormentato sull'orizzonte.

martedì 24 gennaio 2012

Suggestione

Ardono Carmina Burana nell'aria,
un circolo di druidi
attizza con vespri pagani
il rogo del grande sole,
piovuto oltre le volute ioniche di templi d'eroi
vittime del cemento,
sguardo languido di Medusa - grande città.

Ardono Carmina Burana nell'aria,
urla la bestia
dentro un corpo di terracotta
sbatte contro le pareti
con la folle forza della scoperta,
ulula al mondo lì fuori:
Entra qui!

Svelami mille segreti
che m'avvelenino col loro incanto,
dilania la traballante imbastitura
di questo mio abito fiammeggiante,
disciogli la cortina,
disarciona il cavaliere
di questa alienante arancia
di viti, luci, suoni e pulsanti.

Ardono Carmina Burana nell'aria,
mai così vicina sorella follia
da poter comprendere ogni tuo raziocinio.

Ripongo la Colt fumante
nella fondina d'un corpo
soffocato dall'azzurro della veste
costretto dal grigiore di libertà
d'un elegante lacciuolo di seta.

Un brivido d'ustionante suggestione.

La rosa dal pianto di rugiada

Sua ignuda maestà,
mi dia un fiato di nuvole
ove riposarvi stanotte
al riparo
del suo armadio di stelle.

Sua ignuda maestà,
mi dia il vento delle fiabe
ad accarezzare il flauto del sole
col sibillino costrutto d'una sinfonia.

Sua ignuda maestà,
mi dia la nebbia affogata
a velare di cristallo l'orizzonte,
a scolpire le fragili fattezze delle cose.

Sua ignuda maestà,
rovesci la sua levigata follia
ad aggrottare il sorriso di queste gote,
qual cannella odorosa,
soffiata s'una rosa
dal pianto di rugiada.

martedì 17 gennaio 2012

Egli splendido nel suo cappotto dall'interno sdruccito

Cuore trafitto d'abbracci
di miriadi di lame setose,
vaghi per l'angusto petto
cattedrale del respiro,
alla ricerca d'un tuo pari
invero asseragliato nella guarnigione
di monti dietro lo zaffiro.

Maglie di membra
unguento del disio
fischiate al sibilare d'un ansimare,
prorompete con grida
sull'orizzonte di cieche
visioni di passione.

Codardo eroe, l'animo,
refrattario profeta di genti,
prensente nell'oblio d'un cogitare
scivoli rotolante
lungo la perfezione
di quello smottato clivo.

Perfida irriconoscente, l'anima,
sorda ai trionfi del talento
vana ai raggiunti traguardi del sacrificio,
sì famelica di novità
da risolversi in stantio cliché,
sì stretta nel suo barocco rifuggir dal nulla
per l'ingordigia del tutto
d'un asino di Buridano.

Di ciò s'abbiglia il pensiero
passeggiando avvolto
alla canicola d'un sole
figlio d'un pallore
di bonfonchiante inverno,
così spledido nel suo cappotto
dall'interno sdruccito.

lunedì 16 gennaio 2012

Pollock gioca con la tempera del destino

Ti prego, ne ho bisogno ...
come il fiume d'una foce
come la sabbia del suo mare
come il folle dei sani,
per un'ispirazione,
a farlo sentire maledettamente
diverso.

Ti prego, ne ho bisogno ...
come un'eco della sua vallata
come un telefono del suo atono pulsare di suoni
come l'ateo d'un Dio,
per potersi opporre come fiera
all'insegnamento ch'altri han fatto
spendendo, vendendo, barattando
il Suo nome.

Ti prego, ne ho bisogno ...
Dammi del tempo
Il Mio tempo

Soldati in squadrone circolare
a vegliare immobili
sull'allontanasi felice
e il ricongiungersi giustapposto delle lancette,
qual pale del mulino
contro cui m'avvento.

Datemi il tempo d'amalgamare
la tempera del vissuto,
bruciato ardere,
sull'accogliente piana della tavolozza.

Il tempo ... Maledizione ...
per munirmi del sanguinaccio d'una passione,
per ricercare l'erbe officinali
da cui distillare il verde sinuoso
d'una pace calma, di sguardi,
per colmare un'ampolla
del blu-mare d'una fonte
di pensiero.

Il tempo ... per Dio ...
per campire lo schizzo
di china che lascio
stilettando queste pagine.

Il tempo
d'impugnare dubbioso
il pennello madido di quel vissuto
e tornire il reale,
qual maestà decaduta nell'oggi,
ad immagine delle faville danzanti
che fuggono lente
dallo scoppiettio dei miei pensieri.

L'ispido lago ed i gabbiani

Un ispido lago
custodito dalla fine teca
d'un ghiaccio piumato,
attorniato di mille valli
d'argento e mandarino
sfavillante grigio cemento.

Un ispido lago ed i gabbiani,
per qual motivo siete qui
in quest'oceano
di crudi ossi 
di seppie?

Che lo scivolare digrignato
delle vetture,
che il garrire irato
dei loro clacson,
che il paziente rimirare assorto
dei vecchi,
v'abbia tratto in inganno?

Qui non v'è mare,
se non nei nostri occhi,
nè capitani del coraggio,
solo gatti
dalla famelica cortesia
nella loro pretesa
d'insegnarvi
a volare.

giovedì 12 gennaio 2012

L'attesa del prezioso mosaico

Attendere
il fruscio d'alberi al sole
gelido d'un gennaio lucente,
qual pettini trafitti
dal borbottio di gracili raggi,
stoffe brillanti,
ad accarezzare la dolce chioma
delle nubi, archi del cielo
Enorme
Dorato

Attendere
il sospiro tumultuoso
d'un cuore di carta
nella vibrazione stante
d'una coraggiosa fuga
di passione.

Attendere
l'arrivo di un treno ramingo,
sospinto in rullante incedere
addentro un condotto di binari ipotetici,
fermate in stazioni
qual foglie immobili
sul dorso d'una placida corrente.

Attendere
l'ergersi d'opinioni qual insormontabili
mura di cartone piegato,
uomini come bambini in un assedio,
azione determinante,  
di un'allegra guerra fratricida
cantata - musicata in convinzioni
di marmo - fiato
nell'organo d'impettite trachee.

Attendere
intricati grovigli di destino,
qual salubri paludi di pensiero,
dipanarsi in trame
ad ordito di un futuro
prezioso mosaico
di poster e carta da parati.

martedì 10 gennaio 2012

La teca di liquido cristallo in rivoli

Scrivo il tuo volto
dipingo il tuo nome
sull'argento del vapore
gocce, sorelle di cromia,
qual colombe intirizzite nella teca
si diffondo
lungo il luminescente grigiore del burrone.

Scrivo il tuo volto
dipingo il tuo nome,
pongo dapprima la mia mano
intiera, la lascio
sdruccire la perfezione delle cuciture
di quell'abito d'ocra
per figurarmi le astanti
potenzialità di quel mio disinteressato incedere.

Di poi un sol dito
a tracciare la fulgida sommità
del tuo capo
vestito della soggiogante mutevolezza
dei tuoi capelli.

A quell'irrispettoso transitar
l'argento della piana piange
la sua perduta perfezione,
sorelle colombe s'affannano
in stormi fugaci,
straziano l'agiografia di Mallarmé
divorandomi con la voluttà delle forme
costernandomi con la sacralità del ridere
rassicurandomi con quei graffiti di pioggia
lieve di sole.

Scrivo il tuo volto
dipingo il tuo nome,
grondo di quei diamanti
che m'assaltano empietosi
rendendomi leggero
sgravato del peso dell'aria li attorno.

Terrò stretta la mia anima
voglio sia qui
voglio sia con te
quando il caveliere del pensiero
tornerà con la tua.

lunedì 9 gennaio 2012

Like a hawk fallin' from the clouds

A crown of milky clouds
embraccing the holy chapel
above me
and the train,
counting its rolling steps of steel
while a gentle violin of wind
let those clouds smile
in a torrent of rainy thoughts.

A squared mess of clouds
roaring thunders of symphonies
above me
and the train,
shipping that snorting vessel
to somewhere in poems
to something in music
to somebody in an ocean of faces ...

Like a hawk ... fallin' down

from that crown of clouds
creaming the ivory of its flight
with the gentle hands
of a big asleept giant;

from those strict stairs of stars,
like dancers in a silent ballet
at the Bolshoi of Universe;

from me
flying
above my skyscrapers of dust
above my castles of cards
above my streets of doubts;

Untill ...

La primula nera

Seta in petali
di caduca passione,
stalattite cremosa di lacrime
benedici con quel rivolo
mie pareti dalla soffice
estatica potenza

Primula nera
di tenerezza composta,
di scomposto tetro colore
bacio del diavolo.

Luna dal profumato volto
lì attaccata ad un indaco
morso dalla dilaniata passione,
scolpito dalla cannella
del dolce bacio del tramonto rutilante
doblone donato da un buon Dio
all'orizzonte mendicante
schiva etoile di mille paesaggi.

Primula nera
di tenerezza composta,
di scomposto tetro colore
bacio del diavolo.

Efferata assassina
dal timido grigiore di ghiaccio
dei tuoi occhi,
dal perverso tuo osservare
arroccata nella santità del tuo guardo,
dall'ira di velate carezze
qual danza d'odalische nelle tue mani,
riscrivi gli amori dei romanzi
con veleno di miele d'inchiostro.

Primula nera
bacio ardente del diavolo,
fiore del male,
mi ricongiungi ad un buon Dio
graffiando di metafore
la candida veste
della convenuta santità d'una pergamena.

martedì 3 gennaio 2012

La Notte Stellata sul Rodano dalle mille macchie

Macchie di ombrosa tempera
ad accarezzare il cielo di notte
sul Pio grande fiume,
sono luci d'ocra ovattato,
gemme di folgore in boccioli di rose,
raptus di costellazioni in stelle
rifugiatesi nell'impenetrabile
scorza di vetro d'un lampione.

Macchie d'un indaco cielo commosso
nella sua tenebra d'ira nascosta
al mio guardo pellegrino
dai passi travolti nel ritmo
di quell'affollato pensare assorto.

Macchie d'un rutilante rosso bramoso 
intintesi nella cera colata 
al circolo d'arie dell'orizzonte,
s'erigono spumose mura di pacifiche città celesti
s'ergono poeti cinti di lame di passione
s'affanna il mio occhio a fuggire
al ritmo rapido dei miei passi.

Una Notte Stellata sul Rondano
un Van Gogh in minore,
il balbettio d'un poeta illitterato
e quelle tante macchie:
ingredienti per un capolavoro.

lunedì 2 gennaio 2012

Il cantico della mia terra di rose

Un serpente di ghiaia d' un adagiarsi vitreo
di tracotante, collerica, immobilità
strappa i petali d'una rosa in ruvida terra,
sfoglia la corolla melensa d'una margherita,
mentre gli sfilo avanti in parata
cenciosa di sguardi.

Ascoltate il pulsare in fragore di senno
della mia terra di rose,
addormentata nella dolce rugiada
dell'abbracccio del vecchio fiume.

Un vento solo:
sibilo di giunco a volta del cielo,
canto di Saffo a gentile Ouverture
del saggio di vita della civetta,
urlo squarciato dall'amalgama
della mesciata golena
...
i pioppi
qual unisono d'archi in sinfonia,
qual schiera d'armate
in corrazze di dolci foglie
in piche di rami di cristallo,
richiamano al terrore del dubbio
ogni Macbeth,
arroccato nel suo castello,
tripudio marmoreo di convinzioni.

Ascoltate il cinguettio dal tintinnio di pace
della mia terra di rose
accarezzata dal bacio vellutato d'un sole piangente
lagrime in spuma argentea di sora acqua.

Nubi dal levigato splendore
colonne a rastremare il cielo,
ne restringon la veduta,
il guardo fisso
alla sola magia della Luna

Sia essa osservata
dal groviglio d'affetti nella stanza
di là del periscopio
d'un camino

Sia essa ululata
dall'umida laguna
incastonata nel pozzo,
quotidiano tuffo,
lungi dalle passioni.

Sia essa raccolta
dall'infinita altitudine del pensiero
dipinto oltre gli astri,
qual doblone di fiammante valore
di sorrisi e lagrime.

Ascoltate il cantico d'amore di cartapesta
della mia terra di rose
teatrino di marionette
riservato ai soli capolavori.