Lastricata di scelte disegnate in ciottoli
o cinta di pulsioni libere d’un plaid di cemento,
o abbracciata dal debordare d’anse qual boccoli,
o ferita dai rostri d’erba feroce dal naturale tormento.
Già molti defunti in voce dalle parole immortali
l’hanno voluta mettere in dramma
così com’è facile percorrerla, udendola con occhi normali:
la vita è una strada e il calcarla merita un epigramma.
L’hanno sempre detto, fino a scriverlo: lei ha un senso,
di marcia, di fine, d’arrivo, di partenza o scopo.
L’hanno sempre detto, alcuni, uno va ed uno viene … penso
che giunti fin qui servissero poi quelle a senso unico, per dopo …
… dopo, darci la possibilità d’odiarle o amarle, le vite,
di degradare grigi, di stemperare colori in grafite
di correre lungi, di camminare corti per dire: lontano,
per l’ebbrezza meccanica d’andare, contromano.
Mi piaccio i paradossi, le parole accostate
in un odio reciproco d’immagini rifratte,
in un amore perverso dall’odore di membra dilaniate.
Sposate così ti conducono ai perché, boscose dee di fratte.
Perché minacci d’imboccare l’autostrada in senso inverso?
Brami nutrirla della rinuncia al tuo sangue terso,
la struttura ti ha talmente oppresso e, comunque vada,
opponi un petto di carta ai Tutti sfidando la strada.
Perché risali quel deserto viottolo imbandito
di segnali ed orpelli ignorati dai Molti?
Devi correre a vivere, ad ubriacarti di tempo gradito,
girare dalla parte degli alberi è un lusso per stolti.
Perché è certo, la vita è una strada non un fiume.
Gli Altri sono veicoli, non gocce d’acqua in vetro
e le code, quando si sciolgono non svelano la causa di bitume
di quell’attesa di rosa, di quel tramonto d’istanti, tetro.
E le code quando si formano generano ordinata adesione,
non laghi in tavolozze per la mano del sole,
non maree dall’incerto pettinarsi d’onda d’Ermione,
solo linee, rette o torte, lungo un percorso: la via di sale.
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