Pochi stentati passi
di là da collerici colletti allentati
Il verde riarso dei platani
adombra un mondo di cartone
Clochards improvvisano un cenacolo
traggono stille d'acqua dalla fonte
La chimera meccanica,
nel trionfo del suo ottone canuto,
gliene fà dono
Bivaccano e riposano su panchine di smeraldo spento
Alcuni, retti su quei triclini,
pontificano con la nenia della loro lingua berbera
Altri divorano con bramosia libri di Hosseini,
mentre altri, in barba ai precetti di un dio loro
- forse non poi così diverso dal nostro -
incendono col vino
Ignoro se agiscano intimamente
come persuasi d'esser fregiati di Mujtahed
e dunque di poter giustificare la loro interpretazione,
ondivaga e sospirata,
con una Ijtihad rubata.
Augelli più simili a ratti,
fan banchetti di briciole.
Esse scivolano ratte, lontane
dalle bocche voraci
per poi cadere dolci al suolo
come stemi cullati dal vento.
Il rumore della città giunge
come ovattato e distante
in realtà esso pulsa qui vicino
Loro non lo percepiscono
Qui dubbi non piovono
società e dilemmi si fan piccoli di fronte
alla benvolente brama d'istinto vitale,
al passo incerto del piacere terreno
che passeggia
scalzo su rovi di miseria
Io non giudico
sol guardo osservo penso
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