Cimieri policromi
di scritte affastellate in orrido squadrato sermone
chine di frettolosa infamia
Vessilli omologhi
d’armature in cotone
seta d’Oriente
d’avorio in pallida pietra di bottoni
Destrieri roboanti
da nomi angli, sassoni, di profondo oriente
con scudi in plexiglass barcollanti
Proiettili fumanti in bocca
esacerbano labbra di fulmine
Discorsi farneticanti
in soliloquio ombroso
con interlocutori così lontani
da sembrare immaginari.
Fretta in cimento di polsi
con macchinari in alambicchi
che scoccano minuti
a prima vista
non più loro,
con roteata sincrona e ben assestata
fa sibilare quel destriero su
sampietrini in basalto
bolognini in porfido
acciottolati di lago riarso
Cervantes ne immaginò uno solo
ebbro del suo genio indomabile
convinto nella sua pazzia sesquipedale
Io ne vedo migliaia
come me
Tuttavia
La sua poesia non è di tutti
Il suo sognare disordinato e rapito,
quanto imbrigliato dal morso della determinazione
di cambiare il mondo,
non aleggia tra queste genti
Dunque
O la metafora è sbagliata,
- la mediocrità del poeta, lo consentirebbe senza dubbio –
oppure
questi destrieri
così veloci e annichilenti
così veloci e annichilenti
non consentono al cavaliere
nemmeno d’avvedersi dei Mulini
nemmeno al pio Sancho di star al loro fianco
e di far piovere i giusti dubbi
e di far piovere i giusti dubbi
La giostra continua
rombante in cerchi di trote lacustri
rombante in cerchi di trote lacustri
mentre io
qui al sicuro in queste mura di mostroriprendo il mio picchiettare mansueto su tastiere d’ardesia …
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