Tramonti morsi all’ombra d’uno Zefiro riarso,
aspri pomeriggi d’estate annegati in un’aria di cera,
uggioso albeggiar d’autunno intarsiato nella tenera grafite dei nembi
la pace attonita nello scrosciar furioso del temporale invernale
Il fiero ergersi del monte, sovrano sulla sua terra di vetro,
tuttavia inglorioso
se posto al cospetto della remissiva imponenza della beltade della piccola pieve
Il lume sfuggente nell’estro del corso d’acqua,
fioco avanti al genio del fanciullo ch’apprende il pesce
con la scienza ignorante del suo impeto
La maestà dell’onda nell’indaco mare
che irato brama ghermire il plumbeo cielo con sue mani di spuma,
solo paesaggio e contorno all’indomabile passione del pescatore
e alla rispettosa ascesa del suo vascello,
lungo sterminate distese di zaffiro
L’orrido dominio dei grattaceli sulla città
essi, d’arroganza malcelata attentano al loco degli dei,
nulla possono verso il punteggiare ordinato,
il progetto d’ingegno, la callida struttura nel volo delle rondini
Di queste e mille altre si nutre il sognatore,
che mille e mille altre vorrebbe apprendere,
ma la fantasie son di noi tutti,
si prendon in prestito per ornar la pagina bianca e
si donan di lì a poco
per amor,
per odio,
per dolor,
per il podio,
per la fama,
per talento
per la brama,
per cimento.
Forse per nessun di questi
Forse perché nessuna d’esse al fin resti
ma ch’ognuna torni come cometa
astro o stella, a cinger noi
che nel vederle scorgiamo la nostra meta
ma ghermirle più d’un attimo ora non possiamo, forse poi …
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