Giardini pertugi di natura
stasi di febbrile creazione, nascosta,
vi pervade di prospettive minuziose
in cui trovo difficile immedesimazione.
Giardini pertugi di natura
i bambini vi degustano in corse e per colori,
giovani uomini liberi v’usano a talamo
a memorabilia di rifratte istantanee.
Sento sempre parlare di voi, nella mia penna,
ormai due anni vi fan trovare per un minuto
d’un graffito di penna, una lettura rimata in sonno vigile
ma per quanto vi torni, qui, non sono mai stato.
Così come due sposi che v’usano lo sgarbo
di collocarvi a sfondo per le loro caduche foto
dalle sembianze d’amore eterno, in truce divenire,
le mie mani d’occhi vi tramano in volute d’inchiostro.
Poesie, inestimabili cimeli per l'asta di Portobello Road, gelosamente custodite al vento di rose d'una soffitta aperta a tutti
mercoledì 29 agosto 2012
Liberty ed il volo dei negativi
Natura – Volti parrebbero affini alla contemplazione
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.
Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
ignorandosi nella ricerca d’una propria, vita a strati
persuasi del loro slancio prevaricante
s’una terra adibita al moto da uno ieratico cemento.
Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
colti nel groviglio, da loro ignorato, dal volo d’un rondone
convinti della perduta bellezza del loro stile:
Liberty!
Buon nome certo
per un vecchio velivolo, mausoleo in ruggine.
Natura – Volti parrebbero affini alla contemplazione
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.
Ma che dovrebbe affascinarci maggiormente?
L’Arrivederci di foglie ingiallite al ramo
vestito d’autunno su cui le vedremo tornare diverse sempre uguali?
O il Commiato silente d’ogni volto in luminosa fotografia
che fugge dall’albero d’una società
vivido nella sua chioma ipotetica,
solido delle superficiali radici d’un passato dimenticato?
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.
Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
ignorandosi nella ricerca d’una propria, vita a strati
persuasi del loro slancio prevaricante
s’una terra adibita al moto da uno ieratico cemento.
Ma i piani salgono al cielo in reciproco sostegno
colti nel groviglio, da loro ignorato, dal volo d’un rondone
convinti della perduta bellezza del loro stile:
Liberty!
Buon nome certo
per un vecchio velivolo, mausoleo in ruggine.
Natura – Volti parrebbero affini alla contemplazione
Città – Progresso parrebbero sorelle di fugace attenzione.
Ma che dovrebbe affascinarci maggiormente?
L’Arrivederci di foglie ingiallite al ramo
vestito d’autunno su cui le vedremo tornare diverse sempre uguali?
O il Commiato silente d’ogni volto in luminosa fotografia
che fugge dall’albero d’una società
vivido nella sua chioma ipotetica,
solido delle superficiali radici d’un passato dimenticato?
La grande scoperta
Ed alla fine si è perso
lungo le rotaie di nubi
a costeggiare un debole cielo, terso,
a voltare il suo indaco in cubi
Ed alla fine si è perso
affannato a seppellire una parte di vita
che non voleva così e lo modellava diverso
da come doveva andare, da come era partita.
Quella missiva, grande come un libro
musicato da note in lettere, righe in pentagrammi
ed alla fine si è perso senza apporre alcun timbro
lasciando solo il vento a girare le pagine bianche d’epigrammi.
Ed alla fine si è perso
ritrovando la parte più vera di sé
goccia d’olio in acqua tumultuoso d’oceano, terso,
come una domanda vera dalle mille risposte sbagliate:
perché?
… come se una firma rendesse solo tue
le parole incollate prima di essa
e non contasse l’anima di che le legge in due
ad una sola ridente compassione perplessa.
lungo le rotaie di nubi
a costeggiare un debole cielo, terso,
a voltare il suo indaco in cubi
Ed alla fine si è perso
affannato a seppellire una parte di vita
che non voleva così e lo modellava diverso
da come doveva andare, da come era partita.
Quella missiva, grande come un libro
musicato da note in lettere, righe in pentagrammi
ed alla fine si è perso senza apporre alcun timbro
lasciando solo il vento a girare le pagine bianche d’epigrammi.
Ed alla fine si è perso
ritrovando la parte più vera di sé
goccia d’olio in acqua tumultuoso d’oceano, terso,
come una domanda vera dalle mille risposte sbagliate:
perché?
… come se una firma rendesse solo tue
le parole incollate prima di essa
e non contasse l’anima di che le legge in due
ad una sola ridente compassione perplessa.
La festa triste
Lo dominava come uno slancio,
un’idea tronfia di rapsodie,
scaduta in baccanale dal dorato cencio
a scena d’un musico o un gran direttore: vere parodie!
Lo dominava come uno slancio,
il fermo desiderio d’ondeggiare
con lei in un’aria di fumi, bolle ed un bacio,
a giustificazione portante di quel gioco di pose da interpretare.
Lo dominava come uno slancio
la convinzione che una dolce follia sia generosa di buoni consigli,
che possa servire un aiuto, un aggancio
alla propria vita per volteggiare senza rete ed inutili appigli.
Lo dominava come uno slancio,
tanto sorrideva d’una felicità liquida
da piovermi in colori nudi anche per un occhio volutamente guercio
e ricordarmi che toccare solo oro – per Altri inestimabile – era la vera sciagura, per Mida.
un’idea tronfia di rapsodie,
scaduta in baccanale dal dorato cencio
a scena d’un musico o un gran direttore: vere parodie!
Lo dominava come uno slancio,
il fermo desiderio d’ondeggiare
con lei in un’aria di fumi, bolle ed un bacio,
a giustificazione portante di quel gioco di pose da interpretare.
Lo dominava come uno slancio
la convinzione che una dolce follia sia generosa di buoni consigli,
che possa servire un aiuto, un aggancio
alla propria vita per volteggiare senza rete ed inutili appigli.
Lo dominava come uno slancio,
tanto sorrideva d’una felicità liquida
da piovermi in colori nudi anche per un occhio volutamente guercio
e ricordarmi che toccare solo oro – per Altri inestimabile – era la vera sciagura, per Mida.
L’annegato
E’ una di quelle notti di luce,
in cui accuso, fottutamente il peso
del cielo sopra di me e della sua vita.
Vorrei solo una via Emilia,
una macchina con Francesco a mille
un solo appena calante, un ricordo
Accordi stonati in un scia di palco
rabbrecciato a fatica oltre la discoteca
in diamanti di bottiglie e pose pirotecniche.
Accuso fottutamente il peso del mondo
ma potrei scrivere per ore come Giacomo
e l’annegamento nelle mie carte sarà,
per Dio, una gran bella morte.
in cui accuso, fottutamente il peso
del cielo sopra di me e della sua vita.
Vorrei solo una via Emilia,
una macchina con Francesco a mille
un solo appena calante, un ricordo
Accordi stonati in un scia di palco
rabbrecciato a fatica oltre la discoteca
in diamanti di bottiglie e pose pirotecniche.
Accuso fottutamente il peso del mondo
ma potrei scrivere per ore come Giacomo
e l’annegamento nelle mie carte sarà,
per Dio, una gran bella morte.
Scripta volant
Il bordo qui sopra non mi pare ben piegato,
certo ne avrei predisposto meglio la curvatura,
arricciandolo come le sopracciglia d’un lato
in un’espressione dolce tipica d’un seme, alla sepoltura.
D’altro canto è figliol prodigo d’improvvisazione,
questo volo in ali di carta, d’un candore imperfetto,
una pagina bianca schiava di mille bozze sotto revisione
una pagina bianca libera nel suo volo verso il cestino, concavo letto.
A voler volere le metafore non servono, come d’altronde scrivere,
la parole volano al meglio se ben piegate su foglie – voglie di carta.
certo ne avrei predisposto meglio la curvatura,
arricciandolo come le sopracciglia d’un lato
in un’espressione dolce tipica d’un seme, alla sepoltura.
D’altro canto è figliol prodigo d’improvvisazione,
questo volo in ali di carta, d’un candore imperfetto,
una pagina bianca schiava di mille bozze sotto revisione
una pagina bianca libera nel suo volo verso il cestino, concavo letto.
A voler volere le metafore non servono, come d’altronde scrivere,
la parole volano al meglio se ben piegate su foglie – voglie di carta.
A creare una visione
Creare una visione
Collage di pensiero e suggestione
ove l’apparente incoerenza bacia
l’ardore del colore, prima che il sole taccia.
Correva l’autostrada percorsa più volte da parole
di poeti e musicisti che dal formicare dei veicoli,
son uno di questi ma vivo e mi nutro d’oro in pillole
di questo sole che rende laghi questi vicoli,
questo sole che schiaffeggia l’asfalto a renderlo mare
incandescente paradiso leggiadro tra partire ed andare.
Il sole, così a creare una visione, un trapasso,
affannati a navigare un acqua d’asfalto
bramosamente intenti ad andar oltre in sorpasso,
il mare del vicino non è il tuo amore, vola in alto.
Collage di pensiero e suggestione
ove l’apparente incoerenza bacia
l’ardore del colore, prima che il sole taccia.
Correva l’autostrada percorsa più volte da parole
di poeti e musicisti che dal formicare dei veicoli,
son uno di questi ma vivo e mi nutro d’oro in pillole
di questo sole che rende laghi questi vicoli,
questo sole che schiaffeggia l’asfalto a renderlo mare
incandescente paradiso leggiadro tra partire ed andare.
Il sole, così a creare una visione, un trapasso,
affannati a navigare un acqua d’asfalto
bramosamente intenti ad andar oltre in sorpasso,
il mare del vicino non è il tuo amore, vola in alto.
La ricetta
Diviene sostanzialmente un vortice, geometrico.
Usualmente una strada che pieghi, sino a renderla retta.
La percorri con un frastuono monotono, al fine muto
La guardi nel tentativo d’odorare almeno un silenzio.
Arrivi ad un punto, questo punto, in cui è normale.
Guardi la ruota e giri con lei
Non ha senso il dolore che mille geni han dimostrato,
si confuta il teorema, ignorandone l’ipotesi …
“Ho molto tempo da spendere, devo vivere”
Usualmente una strada che pieghi, sino a renderla retta.
La percorri con un frastuono monotono, al fine muto
La guardi nel tentativo d’odorare almeno un silenzio.
Arrivi ad un punto, questo punto, in cui è normale.
Guardi la ruota e giri con lei
Non ha senso il dolore che mille geni han dimostrato,
si confuta il teorema, ignorandone l’ipotesi …
“Ho molto tempo da spendere, devo vivere”
Ben spesi quei danari!
Tintinnare di urla nelle orecchie
in una locanda dall’umido vestito
di lampade sfuocate vecchie
come le parole di quel gallo impettito
che pontifica da dietro il bancone:
ecco l’antica verità del Poetone.
“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene,
mi son comprato la musica!”
Tuona tronfio della sua gioia di pene,
di perversione ludica.
Quella locanda puzza appena di più
del mondo d’occhi che ci ondeggia, fuori
di sé, caldo dell’abbraccio che fu
dell’ultima bionda, gelata dal frigo dei cuori.
Penso:
“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene”
talmente bene che me li son dimenticati,
non ho idea di quanti ne piovano sulle schiene
di chi li conta o li usa come me, però distaccati.
Che fascinoso quel loro progetto: una foresta di futuro
nel vaso d’una passione, cucita dietro una divisa d’amenità
d’una generosità spassionata ad erigere un muro
per unire ed arrampicarvici sino al sole della superiorità.
in una locanda dall’umido vestito
di lampade sfuocate vecchie
come le parole di quel gallo impettito
che pontifica da dietro il bancone:
ecco l’antica verità del Poetone.
“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene,
mi son comprato la musica!”
Tuona tronfio della sua gioia di pene,
di perversione ludica.
Quella locanda puzza appena di più
del mondo d’occhi che ci ondeggia, fuori
di sé, caldo dell’abbraccio che fu
dell’ultima bionda, gelata dal frigo dei cuori.
Penso:
“Cazzo i miei soldi me li son spesi bene”
talmente bene che me li son dimenticati,
non ho idea di quanti ne piovano sulle schiene
di chi li conta o li usa come me, però distaccati.
Che fascinoso quel loro progetto: una foresta di futuro
nel vaso d’una passione, cucita dietro una divisa d’amenità
d’una generosità spassionata ad erigere un muro
per unire ed arrampicarvici sino al sole della superiorità.
La subdola prospettiva delle Verità
Pensare,
bisogno fisico dal delicato adagio
di collezionista sbadato, assorto
una fame di carta dal fuoco grigio
ed una sete d’aria, di porto.
Chiamare,
orgoglio dominante di condottiero
guardiano d’un cane miserabile
splendore dal tetro pensiero
d’un bicchiere credibile,
certamente mezzo pieno,
patrono d’una sete - incendio, di fieno.
Pensare ,
al dolore infinito d’un inutile attimo
speso a pagare i propri errori,
la scala mobile continua dal primo
secondo a soffiarti via i tremori
d’un tempo vivo solo in foto
d’una calma godibile solo nel moto.
bisogno fisico dal delicato adagio
di collezionista sbadato, assorto
una fame di carta dal fuoco grigio
ed una sete d’aria, di porto.
Chiamare,
orgoglio dominante di condottiero
guardiano d’un cane miserabile
splendore dal tetro pensiero
d’un bicchiere credibile,
certamente mezzo pieno,
patrono d’una sete - incendio, di fieno.
Pensare ,
al dolore infinito d’un inutile attimo
speso a pagare i propri errori,
la scala mobile continua dal primo
secondo a soffiarti via i tremori
d’un tempo vivo solo in foto
d’una calma godibile solo nel moto.
L’architrave della parola
Architettare una parola,
dividerla dalle lettere
e disegnarne un significato
Architettare una parola
colmarla d’immagini per dividere
nel dare allo slancio un passato
Una parola di fuori di un’opinione
come un mattone contro una vetrina imbandita
di diamanti di luce costretta in prigione
di sguardi liberi in vorace dipartita.
Una parola dentro un discorso,
bomba intelligente contro una verità
ingiusta come il dettame d’un dio diverso
vera come il sogno d’una nuova realtà.
dividerla dalle lettere
e disegnarne un significato
Architettare una parola
colmarla d’immagini per dividere
nel dare allo slancio un passato
Una parola di fuori di un’opinione
come un mattone contro una vetrina imbandita
di diamanti di luce costretta in prigione
di sguardi liberi in vorace dipartita.
Una parola dentro un discorso,
bomba intelligente contro una verità
ingiusta come il dettame d’un dio diverso
vera come il sogno d’una nuova realtà.
Come la donna di Chumubamba
“Odio il sibilo del vento,
porta lontano le nubi di pioggia
e per noi qui sono la vita”.
Odio il sibilo del vento
solleva un balletto di fiori per la loggia,
e la platea informe odora d’alba svanita.
Odio il sibilo del vento
mi riporta la polvere di ieri
la luce saltellante dei ceri
un “devo” urlato s’un arpeggiato “tento”.
Amo la carezza del vento infinito
la fiducia tipica dell’impaurito
ed il suo appendersi sanguinoso
al rotolare d’un momento gioioso.
porta lontano le nubi di pioggia
e per noi qui sono la vita”.
Odio il sibilo del vento
solleva un balletto di fiori per la loggia,
e la platea informe odora d’alba svanita.
Odio il sibilo del vento
mi riporta la polvere di ieri
la luce saltellante dei ceri
un “devo” urlato s’un arpeggiato “tento”.
Amo la carezza del vento infinito
la fiducia tipica dell’impaurito
ed il suo appendersi sanguinoso
al rotolare d’un momento gioioso.
L’applauso delle onde
Dolci come chiome tornano illibate
a stroncarsi, a finir la vita
contro le rive le onde fatate
dall’orrenda routine di tempi, contrita.
Risponde di lontano il leggio dei monti
disegnato di I appuntite dal velluto
di prati recisi dal vento sotto i ponti
d’alberi nicchie di tempo perduto.
Scappato come un ladro vivo
nell’ansia dell’infinito parco della prigione,
necessito d’ignorarli stando in mezzo, schivo
a loro ed al loro sano uccidersi di squilli e missive in missione.
Nel silenzio non trovo risposte
solo altri rumori più delicati
a distrarmi dal suono delle candele imposte
sul tavolo delle mie storie di dolci dannati.
Merito il rimprovero d’un Dio, d'altronde
fisso lo sguardo sull’applauso delle onde
a stroncarsi, a finir la vita
contro le rive le onde fatate
dall’orrenda routine di tempi, contrita.
Risponde di lontano il leggio dei monti
disegnato di I appuntite dal velluto
di prati recisi dal vento sotto i ponti
d’alberi nicchie di tempo perduto.
Scappato come un ladro vivo
nell’ansia dell’infinito parco della prigione,
necessito d’ignorarli stando in mezzo, schivo
a loro ed al loro sano uccidersi di squilli e missive in missione.
Nel silenzio non trovo risposte
solo altri rumori più delicati
a distrarmi dal suono delle candele imposte
sul tavolo delle mie storie di dolci dannati.
Merito il rimprovero d’un Dio, d'altronde
fisso lo sguardo sull’applauso delle onde
Come andare contromano
Lastricata di scelte disegnate in ciottoli
o cinta di pulsioni libere d’un plaid di cemento,
o abbracciata dal debordare d’anse qual boccoli,
o ferita dai rostri d’erba feroce dal naturale tormento.
Già molti defunti in voce dalle parole immortali
l’hanno voluta mettere in dramma
così com’è facile percorrerla, udendola con occhi normali:
la vita è una strada e il calcarla merita un epigramma.
L’hanno sempre detto, fino a scriverlo: lei ha un senso,
di marcia, di fine, d’arrivo, di partenza o scopo.
L’hanno sempre detto, alcuni, uno va ed uno viene … penso
che giunti fin qui servissero poi quelle a senso unico, per dopo …
… dopo, darci la possibilità d’odiarle o amarle, le vite,
di degradare grigi, di stemperare colori in grafite
di correre lungi, di camminare corti per dire: lontano,
per l’ebbrezza meccanica d’andare, contromano.
Mi piaccio i paradossi, le parole accostate
in un odio reciproco d’immagini rifratte,
in un amore perverso dall’odore di membra dilaniate.
Sposate così ti conducono ai perché, boscose dee di fratte.
Perché minacci d’imboccare l’autostrada in senso inverso?
Brami nutrirla della rinuncia al tuo sangue terso,
la struttura ti ha talmente oppresso e, comunque vada,
opponi un petto di carta ai Tutti sfidando la strada.
Perché risali quel deserto viottolo imbandito
di segnali ed orpelli ignorati dai Molti?
Devi correre a vivere, ad ubriacarti di tempo gradito,
girare dalla parte degli alberi è un lusso per stolti.
Perché è certo, la vita è una strada non un fiume.
Gli Altri sono veicoli, non gocce d’acqua in vetro
e le code, quando si sciolgono non svelano la causa di bitume
di quell’attesa di rosa, di quel tramonto d’istanti, tetro.
E le code quando si formano generano ordinata adesione,
non laghi in tavolozze per la mano del sole,
non maree dall’incerto pettinarsi d’onda d’Ermione,
solo linee, rette o torte, lungo un percorso: la via di sale.
o cinta di pulsioni libere d’un plaid di cemento,
o abbracciata dal debordare d’anse qual boccoli,
o ferita dai rostri d’erba feroce dal naturale tormento.
Già molti defunti in voce dalle parole immortali
l’hanno voluta mettere in dramma
così com’è facile percorrerla, udendola con occhi normali:
la vita è una strada e il calcarla merita un epigramma.
L’hanno sempre detto, fino a scriverlo: lei ha un senso,
di marcia, di fine, d’arrivo, di partenza o scopo.
L’hanno sempre detto, alcuni, uno va ed uno viene … penso
che giunti fin qui servissero poi quelle a senso unico, per dopo …
… dopo, darci la possibilità d’odiarle o amarle, le vite,
di degradare grigi, di stemperare colori in grafite
di correre lungi, di camminare corti per dire: lontano,
per l’ebbrezza meccanica d’andare, contromano.
Mi piaccio i paradossi, le parole accostate
in un odio reciproco d’immagini rifratte,
in un amore perverso dall’odore di membra dilaniate.
Sposate così ti conducono ai perché, boscose dee di fratte.
Perché minacci d’imboccare l’autostrada in senso inverso?
Brami nutrirla della rinuncia al tuo sangue terso,
la struttura ti ha talmente oppresso e, comunque vada,
opponi un petto di carta ai Tutti sfidando la strada.
Perché risali quel deserto viottolo imbandito
di segnali ed orpelli ignorati dai Molti?
Devi correre a vivere, ad ubriacarti di tempo gradito,
girare dalla parte degli alberi è un lusso per stolti.
Perché è certo, la vita è una strada non un fiume.
Gli Altri sono veicoli, non gocce d’acqua in vetro
e le code, quando si sciolgono non svelano la causa di bitume
di quell’attesa di rosa, di quel tramonto d’istanti, tetro.
E le code quando si formano generano ordinata adesione,
non laghi in tavolozze per la mano del sole,
non maree dall’incerto pettinarsi d’onda d’Ermione,
solo linee, rette o torte, lungo un percorso: la via di sale.
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