martedì 28 febbraio 2012

Stendhal al caffè delle Giubbe Rosse

Rossi indumenti
a delicato contorno d'un borbottio
di pietre d'ocra assolato
affiggono drappi di disegni rupestri.

Entrato nel caffé
m'assale una sindrome composta,
un pacifico assedio d'arte
dal profumo di poesie
dall'odore di vapore e carbone.

Facce disegnate da mustacchi torniti
smicciano me, astante turbato,
il loro slancio frenato dal tempo,
la loro esaltazione di pagana ortodossia
m'incanta come in un sogno
in prossimità del risveglio.

Esco per rientrare in questo museo aperto,
abbagliante nelle fioche luci del tramonto

Torno a respirare ispirazione
ad annegare laghi dubbiosi nelle colline
a trovar certezze in insoluti quesiti.

[veduta di Firenze in uscita dal caffé delle Giubbe Rosse]

Scrivo per amor incapace del disegno

Scrivo perchè
ne ho bisogno,
credo d'aver qualcosa da dire
disordinatamente
a bocconi,
a morsi,
ad occhiate.

Scrivo perchè
mi piace riordinare un foglio,
agghindarlo con figure retoriche
abbellirlo di punteggiatura,
privarlo di significando scrivendo parole,
privarlo d'utilità campendolo di blu acuminato.

Scrivo
con attenzione,
con dettaglio al particolare,
perché voglio che quel foglio
sia ben in ordine
sia perfettamente coerente:
ogni pagina abbia il suo senso
ogni parola il proprio appiglio
ogni figura il proprio pittore
ogni canzone il suo Mozart
prima che l'accartocci
e lo getti nel cestino.

Scrivo
perché sono convinto,
o perché, in realtà è vero,
che non vada letta.

No, non scrivo perché mi leggiate,
in realtà, scrivo perché mi piace disegnare

Volere, potere, essere ...

Voglio pensare di esserci nato così,
voglio credere di non esser cambiato,
per essere così.
Voglio credere che io sia perché io sono
Voglio a tutti chieder perdono.

Desidero ordinare i miei pensieri in un caos
non li voglio sottoporre nel rigido schema in cui nascono
li voglio sparpagliare,
Voglio dare caotico ordine
alla mia folle mente ordinata.

Desidero dormire, pieno di adrenalina
e desidero vivere sognando,
trascinandomi sul rombo di questa città
come su un cuscino
in una silente notte di quiete apparente.

Voglio avere ore come sale
voglio avere minuti come zucchero
ma, voglio essere una succosa pietanza
e che il mio destino sia il mio chef

No, non crediate che io sia un pavido
che rifugga la Responsabilità

No, non pensiate che io voglia scappare
da qualcosa che voglio definire: Responsabilità
la voglio con me
ma la voglio nella mia testa,
non nel mio stomaco.

Lo voglio, perchè sono arrivato fin qui
interrogandomi su cosa angustiasse la mia testa.
No, non è un assalto
non fu un assalto,
non è un assalto
lo sarà ...

Io voglio
Io posso
ma
non sarò.

martedì 21 febbraio 2012

Come virgola in un sospiro

Qual taglio - dolorosa ferita - dal dolce pianto
sgorga sangue terso, sapor di spezie,
riga la delicata palladiana di vincenti il vanto
abbevera la povera maestà d'un sentimento, non turbata d'inezie.

Qual gola - crepaccio incantato - segna il distacco
d'una parola dalla sua bocca, generosa nutrice
scaglia un dardo di lettere in alto, oltre il bivacco
di pensieri pellegrini madidi d'una compassione per sè felice.

Qual fonte - aggrovigliato tessuto - ad unir pareti scoscese
d'esseri disposti in invetriata assonante opacità
ognuno irrorato dalle proprie nubi di tramonto accese,
mura impenetrabili d'agile aggiramento per sola opportunità.

Qual sguardo di vibranti pupille a contendere al tuo nocciola,
il primato d'una bellezza di scultorea invisibile cromia
ignorata dal rutinario ondeggiare del crine a mo' spola
mentre l'aria si fa scatola per grilli di distratta autonomia.

Naufrago d'oceani in bicchieri smiccio l'orizzonte e viro,
grani di clessidra dividon l'ampolla ... qual virgola in un sospiro.

lunedì 13 febbraio 2012

Il concerto del carillon

Rami dentati, accarezzati,
scivolate da soli, di gelso ammantati,
scolpite di tintinnii quel muro
coll'impietoso rombo d'un tamburo.

Rami dentati, accarezzati,
canzone di notte di cembali illibati
cantate in falsetto, ricolmo di vero,
la vita quand'è buona, ti lascia intero.

Rami dentanti, accarezzati,
soli, polverosi, s'una mensola di legni gemmati,
eremiti in concerto di carillon e ballerine,
tutti tristi-attenti al compleanno-funerale delle candeline.

Rami dentati, accarezzati,
non m'occorrono maghi o vati,
correte al mio servizio stanotte,
col dubbio che questa vita abbia fame d'esperienze ghiotte.

venerdì 10 febbraio 2012

La dolce fretta

La fretta d'innamorarsi
imperturabata lancetta,
vortice folle di libellula nel posarsi
di dolci gocce d'asfalto calpestate dalla bicicletta.

La pioggia d'amaro cioccolato
veste i cuori di neve,
è quel tuo strano animo affamato
a rincorrere i suoi demoni oltre la pieve.

L'abbaino da cui guardi il mondo
è l'uscita di sicurezza,
è la vetta germogliata dal fondo
della tua primavera scarmigliata nella brezza.

I fiori di pesco,
appassiti nell'affanno fresco
della realtà - fotografia scattante,
rivivon d'arte nel decoupage bruciante
del tuo ritratto - diamante di ciniglia
intagliato s'un fondo di bottiglia.

La fretta d'innamorarsi
applauso silente,
capolavoro imminente,
beata gioia d'aversi.

giovedì 9 febbraio 2012

Poesia Mancina

Scritti grandi e torniti
d'errori in drappi di foglio infiniti,
d'un equilibrio incerto e corrotto
attendono dalla ragione un rimbrotto.


Sfilate le luci delle citta'
l'occhio mancino gracida,
un treno ch'ondeggia nel vespero d'aldila',
mi conduce fraterno nella notte acida.


Mano turchina, sorella ignorata,
distorci la china, con tua scrittura seghettata;
Scopro lodandomi,
il vituperio del mio animo,
Pulisco infangandomi,
il terso oblio dell' occhio minimo.


E' un oceano che dilaga in un bicchiere,
un attimo ch'ammorba ere.


E' una precisa convinzione distorta,
un dubbio che soffia nella fessura della porta.


Sono una poesia mancina,
un dolore destrorso s'avvicina,


Capire che il mio sguardo ha la forma del miele,
Capire che il vostro sguardo odora di sale,

Vederla abbaiare ad un cane in un cortile,
Negando alle mille pecore la calma dell'ovile;


La poesia mancina stritola il cuore
ne versa il dolce succo sul sole che muore.


La poesia mancina benedice la notte,
ne beve il nettare dopo averla presa a botte.


La poesia mancina parla de "i Voi",
ben conscia d'esser malata de "i Suoi".

lunedì 6 febbraio 2012

Rubarle l'anima ... l'anima ...

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
sottrarre alla Terra il suo essere
Salomé, figlia di vento,
in danza attorno alla maestà del Sole;
pretendere di trovare una sola motivazione
a centinaia d'azioni commendevoli e turpi,
a migliaia di sibili di fuoco nelle notti
a milioni di denti digrignati
per stomaci laschi d'orrida vacuità.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
accusarla di odiare davvero certi suoi figli
riarsi dal caldo d'una savana,
raggellati dal freddo d'una steppa,
soffocati dal legno marmoreo d'una bidonville,
perché in quel suo vorticoso danzare
non si sofferma
ad accarezzarli con brezze di menta,
a riscaldarli con aurore di passione,
a librarli in oceani di diamanti piovuti.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
negarle la femminilità dell'eco,

Rimbombo d'urla rese vivide
dalla melodia di valli e roccie;

Dolce convenzione che l'ultime parole
proferite, sussurrate, gentilmente consegnate
s'incastonino in una corona di polvere di stelle
e li rimangano mesciandosi all'odore d'amante,
ripetitiva stupefacente nenia berbera.

Rubarle l'anima vorrebbe dire ...
rifiutarle un invito a danzare
con lei, nella tua primavera.

giovedì 2 febbraio 2012

Il candido abito piumato della perfida sposa

Lieve, delicato, efflato tonfo
di cotone intarsiato
in geometrie di rigida rugiada
vesti di bianco sorriso
la vecchia, farneticante, vivida cornice
di Milano, risvegliata sognatrice di mondi.

Simpatica, sorridente, buffa maschera
di ceramica polverosa, scivolata dal cielo,
ammanti il grugnire del tram,
soffocandolo in arioso abbraccio,
librandolo come un garrire di rondone;
acquieti le voci stridule dei corpi,
ingessati in delicate vesti,
musicandole qual voci d'infanti.

Come te i pensieri ...
Come te la poesia ...

Ella,
posatasi con l'avvedutezza d'un fringuello affamato
sulle diamantee guglie della cattedrale del reale,
le tornisce ... con la fragorosa forza d'un velo,
le dipinge ... inspessendo i contorni delle cose
ad esaltarne i contenuti,
le espone ... restituendo alle persone
la meraviglia di guardarsi attorno,
il piacere di contemplarsi,
con lo stesso stupore con cui s'alzano gli occhi
piume al cielo.