[In memoria di Antonio, mio zio]
Amo
l’acquerello, una pittura che odora di vacuità dove l’acqua svolge un effetto
particolare sul colore, lo abbraccia in un legame sadico così incredibilmente
prossimo agli accadimenti della vita umana.
La
tela, nella fremente attesa del tocco del pennello, si irrigidisce sperando nell’abbraccio
corposo e pervasivo della tempera. Quale calda melassa ad avvolgere la propria superfice
ruvida e candida, come gradita invasione nelle pieghe e rientranze della sua
materia, impercettibili allo sguardo distratto – o d’insieme nella versione
accomodante ed eufemistica – dell’osservatore.
E’
legittimo ritenere che ne rimanga delusa.
Attende
un abbraccio e riceve una carezza. Una tocco forzatamente distratto, per non essere
sopraffatto dalla natura sfuggente dell’acqua, dal suo irrimediabile istinto a
fuggire e lacrimare sul tratto vellutato della matita usata per incidere il Soggetto
in una posa statica da rendere vivida con la luce del colore.
Il
finale lascia esterrefatti.
La
biografia letta da un annunciatore dovizioso ancorato ad un discorso scritto con
una istituzionale Olivetti scarmigliato da qualche appunto d’un corsivo ispido sferzato
da una Biro diventa un monologo appassionato d’un attore consumato con i rossi
come toni alti e moti di spirito, i blu come pause sceniche a cui rimanere
appesi in attesa ed i neri a dare una dimensione al tutto.
Il
finale lascia esterrefatti.
Il
Suo confrontarsi con il mondo e con la vita, ordinato e programmato, come la
matita assume un nuovo significato …
Per
i colori di cui si è circondato …
Per
il modo in cui ha dominato la natura sfuggente dell’acqua e, in qualche modo,
della Vita.
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